martedì 2 ottobre 2007

Lo Zen e l'Arte di Meditare facendo Parkour

La perfetta Via è priva di difficoltà
Hsing Hsing Ming
Le dottrine, di qualsiasi stampo e provenienza, mi sono sempre andate strette. Il tradizionale sommario dello Zen dice, però:

Al di fuori della dottrina; indipendente dalla tradizione.
Non fondato su parole e su lettere.
Diretto alla mente umana.
Discernente la propria natura, attingente alla Buddità.

Interessante, mi sono detto. La ricerca era cominciata.
È l'atto puro, l'azione diretta che lo Zen predilige, assieme a tutti quei modi di rapportarsi all'esperienza senza troppi vincoli culturali e dunque all'intuizione. [...] Obiettivo dello Zen è pervenire al satori, l'illuminazione che porta a un più alto livello di coscienza. Satori e vuoto sono due concetti complementari che si sostengono l'un l'altro, e proprio dalla concezione zen del vuoto è possibile capire la differenza tra il Nirvana della tradizione buddhista e il satori. Se il primo si presenta infatti fondamentalmente come rinuncia al mondo e distacco da esso, proprio come nell'ascetica noluntas di Schopenhauer, il satori si propone una partecipazione attiva e consapevole al mondo e non una fuga da esso. Lo Zen preferisce l'attività alla speculazione intellettuale e si distingue dalle altre scuole buddhiste per aver reso essenziale e centrale la cosiddetta pratica nel raggiungimento del satori. [...] Tra le pratiche zen si distingue in modo particolare lo zazen, la meditazione stando seduti. [...] Un'altra pratica è il kin-hin (let. "marciare in linea retta nel verso della trama di un tessuto"), la meditazione camminando (tratto dalla voce Buddhismo Zen di Wikipedia).
Fortunatamente, ci è possibile non solo sentir parlare dello Zen, ma anche vederlo. Dato che “una dimostrazione vale più di 100 parole”, l'espressione zen nelle arti ci fornisce uno dei modi più diretti per intenderlo. [...] La immediatezza delle pitture sumi e degli haiku, e la totale presenza di spirito richiesta nel kendo, manifestano la ragione vera per cui lo zen si è sempre definito il metodo del risveglio istantaneo. [...] Se infatti apriamo i nostri occhi e distinguiamo nettamente, risulta ovvio che non esiste altro tempo che questo istante, e che il passato e il futuro sono astrazioni senza una concreta realtà. (A.W.Watts, La via dello Zen, Feltrinelli)
Veniamo a noi. Praticare il Parkour, a mio avviso, è 4 volte zen. In prima istanza ci obbliga a risvegliare un livello di coscienza più arcaico, più naturale: ci troviamo, spesso, di fronte alla evidente efficacia di seguire il movimento del proprio corpo, piuttosto che organizzarlo. Questo accade tutte le volte che tracciamo in maniera fluida, affrontando ogni elemento dell'ambiente senza fermarci a pensare a “come sarebbe meglio fare”, per esempio senza soffermarci sul calcolo di quale piede deve staccare e dove deve trovarsi al momento del balzo. In pratica, il Parkour, ci invita ad ascoltare il nostro istinto.
In secondo luogo, invece, la volontà di superare i propri limiti mentali e fisici (unita alla crescente drammaticità delle conseguenze di un fallimento), ci costringe alla massima concentrazione. Nel momento della preparazione di un precision tra due sbarre, la nostra mente si focalizza solo sul sé e sull'obiettivo. In quei momenti si raggiunge uno stato di totale presenza di spirito, passato e futuro si sfocano e svaniscono, nella necessità di non sbagliare. Anche Yamamoto Tsunemoto ci viene in aiuto con l'Hagakure, ricordandoci che:

Nella vita la cosa più importante è quella di vivere il momento presente con la massima attenzione. Tutta l'esistenza non è altro che un susseguirsi di un momento dopo l'altro. [...]
Bisognerebbe vivere con l'attenzione a ogni momento, ma gli uomini si lasciano sfuggire il momento presente per andare in cerca di altre cose e così non arrivano mai a realizzarsi.
Per vivere con la continua attenzione al momento presente è necessaria una lunga perseveranza nella pratica, ma, una volta che si è raggiunto questo stato di attenzione, anche quando non ci si pensa, non ci si allontana.

Un terzo aspetto del Parkour è, secondo me, degno di nota: esso sviluppa la capacità di giocare con le categorie della mente, sottolineandone la relatività. Quando ci si aggira per la città osservando possibili tracciati o intuendo modi inconsueti di raggiungere luoghi fuori portata, stiamo uscendo dal modo comune di vedere il proprio ambiente. Abbiamo ampliato uno schema mentale fisso, lo stiamo arricchendo di nuove possibilità, prima impensabili. Un maestro zen stava prendendo il the con due suoi discepoli quando all'improvviso gettò il suo ventaglio a uno di loro, dicendo: "che cosa è questo?". Il discepolo aprì il ventaglio e si fece vento. "Non c'è male" fu il commento del maestro. "Ora tu" Egli proseguì passando il ventaglio all'altro discepolo, il quale subito lo chiuse e si grattò il collo. Ciò fatto, lo aperse di nuovo, vi pose sopra un pezzo di torta e l'offerse al maestro. Questo fu considerato ancora meglio, poiché quando mancano i nomi il mondo non è più “classificato entro limiti e confini” (A.W.Watts, La via dello Zen, Feltrinelli).
In fine, il nostro amato Parkour ci insegna a riconoscere l'importanza del vuoto, come del pieno.

Un vaso è fatto di solida argilla, ma è il vuoto a renderlo utile. [...]
Dunque per utilizzare ciò che è, devi utilizzare ciò che non è.
Lao Tzu


Noi potremmo dire che un salto è solo un movimento, ma è il vuoto che lo rende “utile”, ed è l'equilibrio dinamico tra “vuoti” e “pieni” che lo trasforma in un precision.
Tracciare ci aiuta ad ascoltare di più il nostro istinto e a focalizzare la mente sul presente, queste due cose unite ci permettono crescente armonizzazione tra mente e corpo. Pensare ai tracciati amplia le nostre vedute, attribuire valore al vuoto è formativo. Ecco perchè il Parkour è meditazione Zen in movimento.

Beh, sono solo riflessioni...